“A donde te escondiste, / Amado…”
(San Juan de la Cruz, Cantico espiritual, I,1)
Non un possesso ma uno spossessamento, una spoliazione, è il destino di chi si è inoltrato, anche una sola volta, anche per un attimo solo, in quel “claro” da cui tornare realmente indietro non si può.
Quell’attimo non sta più nel tempo: è il kairòs. Quello spazio non è più spazio geografico: è terra celeste, è l’Eden di cui avevamo perduto la percezione.
Eppure, quella ritrovata capacità di percezione, quella finestra che per grazia improvvisamente si è aperta, non può far sì che il ritrovato paradiso non resti, comunque, un paradiso perduto.
Da qui la condizione paradossale di chi si sentirà ormai per sempre estraneo a tutto ciò che paradiso non è eppure dovrà riconoscere che, se quella terra di Luce- e soltanto quella- è la sua terra, il suo luogo, il suo paese, essa tuttavia non gli appartiene: terra che gli ha dato, sì, notizia di sé, che egli potrà -forse- tornare ancora a contemplare, per rari barlumi di visione, ma sulla quale porre stabilmente i piedi gli è precluso.
Il senso di esaltante prossimità ad un luogo di vita, vita quieta, luminosa, intatta, l’istantaneo e definitivo riconoscimento del giardino, della “viriditas” (per usare il termine coniato da Ildegarda di Bingen), del verdeggiante -sempre rinascente- mondo di verità che ti è patria, casa, dimora: può darsi una condizione più beata di questa?
Il ritrovamento di quanto c’è, ormai, per te, di più prezioso (“O nobilissima viriditas / che hai le radici nel sole…”), unito al senso e all’esperienza della sua inaccessibilità, della sua intangibilità (“noli me tangere”), del suo sottrarsi alla tua presa, del suo svelarsi e del suo subitaneo nascondersi: può darsi una pena più grande, una più grande nostalgia?
Eppure: non è proprio la certezza di quella intangibilità su cui la tua presa -la presa della tua vita non quieta, non luminosa, non intatta- non può avere, in realtà, potere alcuno, non è proprio questo che, infine, ti fa riconoscere che cosa sia, come sia, il bene vero, la gioia, il paradiso?
Certezza acquisita a prezzo di disinganni e di errori infiniti, di un errare infinito. Inaudita e sempre apparentemente impossibile certezza. Inaudita, ignota, sul punto, sempre, d’ essere infranta e perduta: eppure sempre rifiorente certezza.
“Garanzia della gioia”, ci spiega con poche folgoranti parole Emily Dickinson, “è il suo rischio perenne".
Anna
Hildegard Von Bingen O nobilissima viriditas
1 commento:
Rischio di presunzione nel dire che credo di aver sfiorato più e più volte ciò di cui parla l'autrice. E ancor di più rischio nel dire che leggendo questo "post pro memoria" ho nostalgia di tutto ciò che, non fuggo e non rimpiango ma, cerco.
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